A due anni dal divorzio tra Londra e UE il Regno Unito apre il 2023 in un clima di crisi e costante inflazione acuito dal più generale rallentamento economico globale.
Per avere una panoramica chiara e dettagliata del post-Brexit abbiamo intervistato Pietro Marini, commercialista presso la sede londinese di Kelmer Group.
Pietro, quale è lo stato attuale dell’economia inglese?
Attualmente siamo in piena Brexit, ma il nuovo assetto economico ha iniziato a mostrare le proprie inefficienze già a partire dal 2022. Infatti, non appena conclusasi la parentesi della pandemia globale, tutte le criticità prima attribuite esclusivamente al Covid risultano oggi essere una chiara e diretta conseguenza della Brexit.
Mancanza di personale e difficoltà del Governo nel reagire alle problematiche poste dalla fuoriuscita del Paese dall’UE sono solo alcune delle complessità sorte tra il 2022 e l’inizio del 2023.
Un quadro apparentemente drastico che porta però con sé deboli spiragli di ripresa: il Governo di Rishi Sunak, messe a fuoco le principali lacune del sistema economico del Paese, sarà inevitabilmente chiamato a reagire. Disagi doganali, ostacoli allo scambio merci e sistema-visti che procede a singhiozzo rappresentano problematiche che necessitano di soluzioni quanto più immediate.
La Brexit, in fondo, si configura più come una linea guida che non come un insieme di regole ben delineate. Servirà pertanto del tempo perché se ne definiscano tutti gli aspetti operativi in modo efficiente.
Quale la reazione di aziende chiave dell’industria britannica e quali i settori maggiormente colpiti?
Nella prima parte del 2022, a fronte degli adeguamenti fiscali imposti dalla Brexit, diverse aziende hanno tentato, senza risultati, di aggirarne la normativa per evitare di dover apportare cambiamenti strutturali al proprio assetto. È solo a metà del 2022 che la società sembra iniziare a metabolizzare certe procedure e così anche la macchina del business pare essersi rimessa in moto.
Tutto il mondo degli investimenti sta subendo un forte calo. Investire in Inghilterra non risulta più sicuro e conveniente come in passato e la molteplicità di cambiamenti determinati dalla Brexit si teme possano inficiare i business plan, i costi e quindi gli eventuali ritorni economici.
I settori più colpiti dall’uscita del Regno Uniti dall’UE sono indubbiamente quelli del retail, delle costruzioni e dei trasporti.
Non a caso bar, ristoranti e negozi, che da sempre fanno affidamento sulla bassa manovalanza, hanno riscontrato grandi difficoltà nel momento in cui si è registrata una significativa diminuzione del personale in seguito alla Brexit.
Quali invece, se ve ne sono, gli elementi positivi?
Che il Regno Unito avrebbe dovuto affrontare l’effetto ‘boomerang’ della Brexit era cosa ben nota. Seppure la situazione sembra essere già migliorata rispetto all’anno passato, le difficoltà attuali demandano tuttavia soluzioni ed interventi efficaci al Governo.
La nota positiva è l’effetto ‘scrematura’: chi in passato ha approcciato il mercato di Londra in modo approssimativo, ad oggi si trova costretto a fare un passo indietro. Chi si avventurava in attività di investimento pur non essendo sufficientemente solido o strutturato, ora non ha le capacità per affrontare costi e rischi più alti.
La Brexit, in questo senso, ha avuto un effetto ‘deterrente’ nello scoraggiare incauti ingressi nel mercato britannico.
Questa barriera d’entrata ha modificato il tessuto imprenditoriale e commerciale del Paese ed ha reso più stabile l’ambiente del business abbassando il livello della concorrenza.
Circostanze indubbiamente favorevoli per chi sta guardando al mercato del Regno Unito.
Come si è riadattata Kelmer nel post-Brexit e quali cambiamenti vi sono stati nei suoi servizi?
La Brexit ha certamente dato nuovo slancio al settore della consulenza. Abbiamo registrato un significativo aumento di richieste relative alla consulenza di tipo manageriale.
Il core business di Kelmer Group, in fondo, è sempre stato quello di accompagnare il cliente durante tutto l’iter di realizzazione del progetto. Quindi per noi è stato particolarmente facile il doverci adattare a questo tipo di richieste.
L’attività di supporto che oggi forniamo alle aziende comprende un tipo di consulenza strategica che ci vede coinvolti anche negli step che precedono la costituzione societaria.
In questo momento puntiamo ad essere pragmatici e realisti, a segnalare le criticità senza scoraggiare il cliente, ma anzi invitando alla cautela. Un atteggiamento che finora ci ha sempre premiati.
Difficile, poi, prevedere quale sarà l’evoluzione del mercato, perché molto dipenderà dagli interventi da parte del Governo. É probabile che la situazione andrà a migliorare una volta che si interverrà sul sistema-visti e sulla questione della bassa manovalanza.
In fondo Londra è sempre Londra: dinamica e con ampie capacità di reinventarsi come già dimostrato a seguito delle crisi del 2001 e del 2008. A livello di marketing non vi è società più potente di questa. È un hub consolidato e di fondamentale importanza se si ha l’obiettivo di internazionalizzare.
Ad oggi, se si è individuata un’opportunità di business, potrebbe valere la pena investire in questo mercato proprio in virtù della bassa concorrenza.